05 marzo 2006

Grande vignetta del mitico Giannelli sul Corriere del 23 febbraio

2 commenti:

Anonimo ha detto...

iserisco il tuo link ciao, http://rosanelpugno/ilcannocchiale.it

Anonimo ha detto...

Nel 1990 (e poi di nuovo nel 1997) la Corte suprema nordamericana ha rifiutato ad alcune tribù indigene dell'Oregon il diritto d'usare peyote in una loro cerimonia religiosa, benché nella fattispecie si trat­tasse di un' antica tradizione di quei popoli. In Italia - nel feb­braio del 2003 -la Cassazione ha deciso che una ragazza ma­dre non può insegnare religione nelle scuole pubbliche, se il ve­scovo le toglie l'incarico.
Gli esempi potrebbero moltiplicarsi facilmente. Ma sta di fatto che il pericolo più grave per i culti forse oggi non provie­ne dal potere temporale: viene dagli altri culti. Questo perché l'intolleranza religiosa è un'idra a due teste, l'una girata verso la società civile l'altra verso quella religiosa, e cova nelle picco­le come nelle grandi religioni. I pueblo, una tribù indiana de­gli Stati Uniti, negano ad esempio le agevolazioni per la casa ai membri della comunità che non si sono convertiti al prote­stantesimo. Gli islamici, al pari dei cattolici, reclamano leggi contro la bestemmia, nonostante il carattere laico degli Stati occidentali. Tale la richiesta di alcuni leader musulmani in Gran Bretagna, dopo la vicenda di Salman Rushdie, il celebre scrittore accusato di apostasia; tale la campagna di stampa dell'«Osservatore Romano» (nell'ottobre 2000) per ottenere l'oscuramento di un sito web dove si bestemmiava la Madon­na. «Dietro ogni blasfemo c'è un giardino incantato» canta­va Fabrizio De André mettendo in musica un personaggio dell' Antologia di Spoon River. Non sempre è così, naturalmen­te; tuttavia il reato di bestemmia contro i simboli della «reli­gione dello Stato» (i santi) è stato espulso dai nostri codici pe­nali nel 1995, dopo una sentenza del tribunale costituzionale pronunziata in nome del principio d'eguaglianza tra le con­fessioni religiose. Ed è pressoché superfluo aggiungere che ri­pristinarlo equivarrebbe a fare un bel passo indietro.
Ma ciò non toglie che per gli ordinamenti occidentali non tutti i culti sono uguali: ci sono i figli, e ci sono i figliastri. Ne­gli Stati Uniti e in Canada le minoranze religiose occupano me­no d'un terzo dei seggi che gli spetterebbero in base alloro pe­so demografico. Il principio di laicità è spesso più affermato che coerentemente praticato; o meglio, vale per i deboli, non già per la religione dominante. Così, Paesi come l'Italia o la Baviera espongono il crocifisso nelle aule scolastiche, negli ospe­dali, nei luoghi pubblici, nonostante il multiculturalismo delle loro società, e nonostante le polemiche che ciclicamente si ro­vesciano contro la normativa che ne impone l'affissione. Per re­stare nell' ambito scolastico, basti pensare che l'ora di religione, in Italia, ha costretto lo Stato a interventi sempre più massicci: e infatti in oltre mezzo secolo (dal 1929 al 1985) la materia è stata regolata da 3 leggi, 7 circolari ministeriali e una sentenza del Consiglio di Stato; viceversa dal 1986 al31 marzo 2002 si sono avvicendate 19 leggi, 167 circolari ministeriali, almeno 80 sentenze dei tribunali amministrativi regionali, 25 decisioni del Consiglio di Stato e 7 della Corte costituzionale.
Sempre in Italia, il governo ha stipulato varie intese con i culti diffusi nel territorio dello Stato, applicando nella fat­tispecie l'articolo 8 della Costituzione: norma laica e libe­rale, che intende garantire attraverso questa procedura l'au­tonomia di ogni confessione religiosa, e il suo rispetto da parte degli apparati pubblici. Ma il risultato è stato poi l'appiattimento di ogni religione sugli standard già ricono­sciuti alla Chiesa cattolica attraverso il Concordato, a sca­pito delle rispettive identità; e così, per esempio, !'intesa si­glata il 20 ottobre 1999 con l'Unione buddhista italiana usa il termine «ministro di culto», tipico del linguaggio cat­tolico e però del tutto estraneo alla tradizione filosofica buddhista. Insomma: l'intolleranza religiosa, che in que­sto primo scorcio di millennio attecchisce in vasti strati della società civile, in quella politica si traduce in discrimi­nazione, o quanto meno nella pretesa d'omologare alla reli­gione dominante quelle di più recente insediamento. Non è proprio uno scenario edificante.